LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO SANZIONA L’ITALIA: NON PROTETTA LA DONNA VITTIMA DI VIOLENZA

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Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguarda la denuncia da parte di una donna e dei suoi figli minorenni per non aver ricevuto da parte dello Stato italiano adeguata protezione durante gli incontri organizzati con il padre dei minori, tossicodipendente, alcolizzato, accusato di maltrattamenti e minacce nei confronti della famiglia.

L’ITALIA E’ SANZIONATA PER AVER OBBLIGATO I FIGLI MINORI AD INCONTRARE IL PADRE VIOLENTO

La donna denuncia anche la decisione dei giudici italiani di aver sospeso la sua responsabilità genitoriale avendola considerata come un genitore “ostile agli incontri col padre” in quanto ella, avendo lamentato atti di violenza domestica e mancanza di sicurezza degli incontri padre–figli, si era rifiutata di partecipare.

Al fine di comprendere quando il genitore può lecitamente opporsi agli incontri è opportuno consultare un avvocato matrimonialista o un avvocato divorzista e non assumere decisioni in autonomia.

UN CASO DI VITTIME DI VIOLENZA DOMESTICA

Il caso riguarda, come già accennato, una madre e i suoi due figli minorenni che ricorrono alla Corte di Giustizia affermando di essere vittime di violenze domestiche e contestano ai Tribunali italiani di non aver adottato le misure necessarie e appropriate per proteggerli, sebbene le violenze fossero state denunciate e fosse stata segnalata varie volte la mancanza di sicurezza degli incontri tra i due figli minorenni ed il loro padre violento, tossicodipendente alcolizzato.

E’ ben ricordare che tramite  avvocati matrimonialisti o avvocati divorzisti è sempre necessario denunciare le violenze.

LA MADRE VITTIMA DI VIOLENZA DOMESTICA, E’ STATA RITENUTA “NON COLLABORATIVA”: ITALIA SANZIONATA

In effetti secondo i ricorrenti, ovvero madre e figli, questi incontri non si sarebbero  svolti nella forma “rigorosamente protetta” prescritta dal tribunale e l’omissione delle autorità a tale riguardo li avrebbe esposti a nuove violenze.

Inoltre la donna lamenta di essere stata definita “genitore non collaborativo” e di conseguenza che la sua responsabilità genitoriale sarebbe stata sospesa soltanto perché, a suo parere aveva voluto proteggere i suoi figli evidenziando la mancanza di sicurezza degli incontri. La donna afferma che le sue argomentazioni non sono state prese in considerazione e quindi ha subito una “vittimizzazione secondaria”.

In questo ricorso alla Corte di Giustizia  viene lamentata la passività delle autorità italiane e viene affermato che il sistema di protezione messo in atto a beneficio di una donna e dei suoi figli che fuggivano dalla violenza domestica,  si è rivelato inefficace e inadeguato.

La donna afferma che le autorità italiane hanno tollerato la violenza esercitata dall’uomo e che i rimedi messi in atto non sono stati efficaci per proteggere né lei, né i suoi figli.

I figli minorenni, rappresentati in giudizio da un curatore, affermano di essere stati esposti alla violenza nel loro nucleo familiare e lamentano di essere stati sottoposti a un trattamento inumano e degradante in quanto costretti ad incontrare il loro padre in condizioni che non garantivano la loro protezione, in assenza di controllo e di sorveglianza da parte delle autorità competenti.

Essi sostengono che le autorità nazionali, ovvero i giudici italiani, non hanno tenuto conto delle sofferenze da loro subite e non hanno garantito la protezione della loro integrità personale.

I ricorrenti affermavano ancora che gli incontri si sono svolti in luoghi non adatti e senza la presenza di uno psicologo; madre e figli sostengono anche che l’autorità giudiziaria abbia dato priorità al cosiddetto “diritto di visita del padre” invece di assicurare la protezione dei minori da ogni ulteriore pregiudizio derivante dalla condotta paterna.

I ricorrenti  ritengono inoltre che  i giudici sapessero che il padre si era dimostrato aggressivo nei confronti dei figli fin dal primo incontro; durante gli incontri successivi, il padre avrebbe continuato ad esprimere verbalmente ai bambini il suo forte odio e risentimento verso la loro madre.

I Servizi Sociali non avrebbero interrotto quest’incontro e anzi avrebbero derogato alla decisione del Tribunale organizzando gli incontri in luoghi pubblici come una piazza o una biblioteca, luoghi nei quali era preclusa qualunque forma di controllo e di sorveglianza del comportamento del padre violento.

Il Tribunale inoltre non sarebbe intervenuto per proteggere i minori, né in maniera mirata per interrompere la violenza del padre, né per verificare l’adeguatezza dei luoghi in cui si svolgevano gli incontri.

La donna espone che il Tribunale ha sospeso la sua responsabilità genitoriale affermando che ella fosse incapace di esercitare in maniera adeguata il ruolo genitoriale in quanto aveva adottato un comportamento ostile al ristabilirsi di un rapporto padre-  figli senza menzionare le violenze subite dalla donna ed il fatto che gli incontri non si svolgevano nella forma rigorosamente protetta.

Nel ricorso si lamenta anche che i Giudici non avrebbero tenuto conto della sua vulnerabilità in quanto vittima di violenza domestica, e si contesta che il Tribunale abbia nuovamente fatto di lei una vittima, considerandola  “genitore non adatto” soltanto per aver cercato di proteggere i propri figli minorenni.

CORTE EUROPEA SANZIONA L’ITALIA CHE NON HA PROTETTO I MINORI

La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo invita a riflettere sul rapporto tra violenza domestica, alienazione parentale e interesse del minore.

Gli episodi di violenza domestica, invero, necessitano di essere presi in adeguata considerazione in caso di adozione di misure attinenti all’esercizio della responsabilità genitoriale. La sentenza della Corte Europea già in diversi casi aveva evidenziato come spetti al singolo Stato l’adozione di ogni provvedimento idoneo, proporzionato e volto a garantire il diritto genitoriale ad avere rapporti con il figlio, ove ciò sia limitato o impedito dalla condotta oppositiva dell’altro genitore.

Con l’aiuto di un avvocato matrimonialista o di un avvocato divorzista è possibile valutare questo bilanciamento di interessi.

Questa sentenza costituisce un ribaltamento di posizione consolidata e  prende una posizione netta e precisa:  condanna la tendenza dei Tribunali a reputare le donne che denunciano episodi di violenza domestica come genitori non collaborativi,  ovvero madri inadeguate e meritevoli di una contromisura afflittiva.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto come la rottura del legame tra figlio e genitore costituisca un’ipotesi eccezionale suscettibile di trovare applicazione soltanto quando emerga l’impossibilità di mantenere una relazione ispirata alla salvaguardia del benessere del minore.

Ai singoli Stati è rimessa una valutazione approfondita e complessiva del contesto familiare al fine di garantire un equilibrio ragionevole degli interessi espressi da ogni membro della famiglia che ponga in evidenza il miglior interesse del bambino. Nel caso di specie secondo i giudici, i figli sono risultati diffusamente esposti a comportamenti aggressivi e sprezzanti riconducibili al padre durante gli incontri: sono stati posti a repentaglio il benessere la sicurezza dei minori e questo rischio è stato ignorato dai Tribunali Italiani.

La Corte di Giustizia ha quindi sanzionato l’Italia per aver sospeso la responsabilità genitoriale della madre: la madre infatti aveva assunto la decisione di non condurre i figli agli incontri con il padre e questa decisione non è stata accolta nella sua effettiva portata di tutela dei figli né è stata considerata la violenza patita dalla madre anche alla luce dei procedimenti per maltrattamenti a carico del padre.

La Corte Europea ha così denunciato quella prassi giudiziale italiana che sembra punire  le madri che denunciano episodi di violenza qualificandole come “genitori non collaborativi” e, come tali, sospesi\ limitati\ o  decaduti della responsabilità genitoriale.

La sospensione della responsabilità genitoriale materna è stata disposta in base ad un giudizio errato e superficiale, sostiene la Corte di Giustizia, sulla scorta di una condotta asseritamente ostile agli incontri padre-figli, senza la necessaria valutazione di un perito  e con indifferenza rispetto al contesto familiare esacerbato da violenza.

Vista anche l’insufficiente motivazione, si è pertanto configurata la violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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