La convivenza prematrimoniale deve essere tenuta in considerazione nella formulazione dell’assegno

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Il tema del mantenimento del coniuge debole nelle procedure di separazione e di divorzio è uno di quelli più dibattuti e che più frequentemente si trovano sul tavolo dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato divorzista.

Cinque anni fa le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, trovatesi  a doversi pronunciare su questo argomento, insieme alla indiscutibile funzione assistenziale valorizzavano anche quella   compensativa e perequativa dell’assegno divorzile.

Ricordiamo che la Corte di Cassazione pronuncia a “Sezioni Unite” tutte le volte in cui, sul medesimo tema, le diverse sezioni che la compongono si pronunciano in un modo diverso tra loro, dando così luogo ad incertezze nell’applicazione al diritto.

La Cassazione si è pronunciata sulla valenza dell’apporto prematrimoniale

Recentemente un’altra questione è stata decisa dalle Sezioni Unite: il tema è la facoltà per il giudice, che deve decidere sulla debenza e sull’ammontare dell’assegno divorzile, di valorizzare anche il contributo dato dal coniuge debole alla gestione della famiglia in un periodo precedente alla data della celebrazione del matrimonio.

Il tema è attuale e interessa la maggior parte delle coppie perché, se da un lato tra i parametri per la formulazione dell’assegno vi è quello relativo alla durata del matrimonio, c’è da dire che nei tempi recenti le coppie approdano al matrimonio in linea di massima dopo una più o meno lunga convivenza pre matrimoniale, durante la quale, è possibile che uno dei due abbia sacrificato aspettative lavorative ed esistenziali al fine di dedicarsi alla famiglia.

Alla luce dei mutati costumi sociali, è parso profondamente ingiusto oltre che obsoleto, valorizzare esclusivamente il sacrificio effettuato dalla data della celebrazione del matrimonio e non anche quello effettuato in periodo precedente trattandosi di un progetto unitario.

Alla luce della nuova visione è compito dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato divorzista fare qualche riflessione.

Come dianzi accennato, pochi anni fa, la Corte di Cassazione affiancava alla predominante funzione assistenziale dell’assegno divorzile anche la funzione compensativa e perequativa dell’assegno.

Pertanto i diritti che derivavano dalla solidarietà post coniugale trovavano il loro fondamento nella prolungata dedizione alla famiglia spesso con il conseguente sacrificio di una propria ed  autonoma attività lavorativa.

Mutamenti sociali che hanno portato alla necessità di valorizzare la convivenza prematrimoniale ai fini della determinazione dell’assegno

Questo quadro normativo, che ha portato a riscoprire la funzione compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, si è consolidato in un momento in cui lo scenario normativo stava cambiando a causa dei radicali mutamenti introdotti dalla legge numero 76\2016, che ha introdotto una disciplina organica della cosiddetta  convivenza more uxorio ovvero la  stabile convivenza senza matrimonio.

Al fine di tutelare il contributo endo familiare, alcune sentenze hanno posto  il problema di consentire la possibilità di continuare a godere dell’assegno nella sua componente compensativa, da parte dell’ex coniuge che avesse instaurato una nuova convivenza.

La Cassazione ha chiarito che il nuovo progetto di vita intrapreso con una convivenza successiva al divorzio, con tutti i reciproci diritti e doveri di assistenza materiale e morale che ne derivano,  comporta  una sorta di chiusura con il passato, chiusura che comporta inevitabilmente la  perdita della componente assistenziale dell’assegno ma non di quella compensativa.

Ricordiamo, come spiegano l’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista, che la componente assistenziale è la componente minima e  basica dell’assegno ovvero quella che consente di provvedere ai bisogni alimentari o poco più.

Sempre la Cassazione indica come l’instaurazione di una nuova convivenza non debba necessariamente determinare l’estinzione anche di quella componente dell’assegno attribuita in funzione compensativa.

È possibile mantenere l’assegno divorzile anche avendo instaurato una nuova convivenza?

L’assegno pronunciato in divorzio a favore del coniuge debole  potrà così permanere nonostante quest’ultimo abbia intrapreso una nuova convivenza,  sempre che riesca a provare il proprio contributo:

  • alla vita familiare,  
  • alla  realizzazione del patrimonio sia familiare sia personale dell’ex coniuge, 
  • alla crescita professionale dello stesso durante il matrimonio, 
  • rinuncia alle proprie occasioni lavorative.

Sempre più spesso infatti, molte donne sono costrette a rinunciare ad un’attività lavorativa strutturata al fine di seguire il marito nei vari trasferimenti all’estero, necessari per raggiungere livelli di carriera ragguardevoli.

Considerate queste premesse, si è posto quindi il problema della rilevanza dei sacrifici e delle rinunce compiuti, non soltanto durante il matrimonio, ma anche nel contesto della convivenza prematrimoniale.

Più nel dettaglio gli operatori del diritto e quindi anche l’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista, si sono chiesti se il tema della rilevanza dei sacrifici e delle rinunce, potesse essere valorizzato anche nel contesto della convivenza prematrimoniale e soprattutto in quale misura.

Valorizzazione delle rinunce effettuate durante il periodo della convivenza prematrimoniale e sua ripercussione sull’assegno divorzile

Le Sezioni Unite nel 2023 hanno chiarito che la funzione compensativa propria dell’assegno di divorzio si può estendere anche all’arco temporale che ha preceduto la celebrazione del vincolo matrimoniale.

L’argomento in base al quale il coniuge più debole debba ricevere una sorta di compensazione in denaro per le rinunce fatte in funzione dell’interesse del coniuge, ma in generale anche dell’interesse dell’intero nucleo familiare, ha dato sempre per scontato che la vita di coppia prendesse l’avvio nel momento della celebrazione del matrimonio e vi terminasse con lo scioglimento.

Se ci limitassimo a questo, l’arco temporale sul quale parametrare  il valore del contributo endo familiare coinciderebbe strettamente con quello della durata del matrimonio.

L’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista, evidenziano come questo concetto sia oltremodo obsoleto e non in linea con i tempi considerato che oggi le coppie spesso contraggono  matrimonio non soltanto dopo parecchi anni di vita in comune, ma anche dopo la nascita dei figli.

Limitarsi ad una simile prospettiva, impedisce di considerare il contributo endo familiare prestato da uno dei due coniugi in quelle fasi della vita della coppia che non coincidono con il rapporto matrimoniale vero e proprio, ma che nel progetto non se ne scostano.

Accanto a questa esigenza, ovvero di compensare il contributo fornito prima del matrimonio, viene un’altra conseguente e speculare necessità, ovvero quella di compensare anche il contributo fornito nel periodo successivo al divorzio nel quale uno dei due genitori si faccia, all’interno della famiglia cosiddetta destrutturata, carico prevalente dell’accudimento dei figli.

Di qui il riconoscimento del contributo prestato nella convivenza prematrimoniale e nel periodo post divorzio appaiono strettamente collegate.

Assegno divorzile compensativo delle rinunce effettuate a favore dell’altro coniuge e della costituzione del patrimonio familiare

Si pone infatti il problema del proseguimento di un indirizzo della famiglia, ancorché disgregata, nella quale anche dopo il divorzio persiste l’esigenza di contribuire in modo prevalente alla vita familiare.

Potremmo dire che nell’attuale contesto fondato sulla pluralità dei modelli familiari, che affida la propria coesione al principio della bigenitorialità, il valore del contributo prestato nella fase prematrimoniale evidenzia la necessità di dare una lettura organica alle interazioni tra la convivenza e il matrimonio soprattutto in ragione della solidarietà tra ex coniugi.

Sarà necessario, al fine di valorizzare la funzione compensativa dell’assegno divorzile,  analizzare quali siano queste modalità con le  quali il contributo alla vita familiare si manifesta.

Il contributo alla vita familiare, soprattutto laddove venga prestato per un prolungato periodo di tempo, può comportare un’irreversibile perdita di capacità professionale, soprattutto nei casi in cui l’età dell’avente diritto renda improbabile o estremamente difficile un reinserimento nel mercato del lavoro.

 Il fenomeno è ancor più marcato nei casi, statisticamente numerosi, nei quali il contributo prestato da uno dei genitori all’accudimento dei figli si concentra ancor più nella fase successiva all’unione matrimoniale.

Col diffondersi poi del fenomeno delle famiglie di fatto, abbiamo spesso una sovrapposizione del tempo in cui il contributo viene fornito a due nuclei familiari diversi e parzialmente sovrapposti.

È possibile infatti che un coniuge, fortemente impegnato nel ruolo di genitore di figli nati dal suo primo matrimonio, instauri dopo il divorzio una nuova convivenza e dia vita a un nuovo nucleo familiare nel quale rivesta prevalentemente un ruolo casalingo. Lo sforzo probatorio dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato divorzista deve concentrarsi soprattutto su questo punto. Pur ammettendo la persistenza della componente compensativa dell’assegno divorzile  anche successivamente all’instaurazione di una nuova convivenza, vi è la possibilità di configurare una situazione nella quale la medesima persona contribuisca con il proprio lavoro domestico a due nuclei familiari diversi.

Proprio questa particolare eventualità è stata posta all’attenzione delle Sezioni Unite della Cassazione che ha esaminato il problema del contributo prestato a favore del nucleo familiare in un momento precedente al matrimonio in una prospettiva che tenga conto dei casi in cui si riscontra una sovrapposizione di nuclei familiari nel tempo.

In sintesi, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile, nei casi in cui il matrimonio sia stato preceduto da una convivenza prematrimoniale, che rivesta le caratteristiche  di stabilità e continuità per avere i protagonisti portato avanti un progetto di vita comune,  qualora si evidenzi una  continuità tra la precedente “fase di fatto” e la successiva  “fase giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale. Il Giudice, quindi, ai fini della valutazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o personale dovrà esaminare, durante la convivenza prematrimoniale,  le scelte della coppia che hanno indirizzato  la vita familiare  alle quali si possano collegare le rinunce alla vita lavorativa e professionale del coniuge più debole, incapace  in seguito di garantirsi un mantenimento successivamente al divorzio.


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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