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A partire dagli anni ’70 l’evoluzione socio-culturale, prima che giuridica, del rapporto genitori-figli ha indotto il legislatore a modernizzare il nostro diritto di famiglia per adeguarlo alla mutata società.
Già nel 1975 scompariva dal nostro Codice Civile la tramontata concezione di “patria potestà” soppiantata dalla nuova nozione di “potestà genitoriale”: l’anacronistica visione patriarcale della famiglia soggetta al potere del padre, cedeva il passo di fronte all’innovativa affermazione del principio di bigenitorialità.
Nel 2013 si compie un passo ulteriore: la vecchia “potestà” si trasforma in “responsabilità genitoriale” a sottolineare che le prerogative inerenti al lavoro di genitore devono essere esercitate nell’esclusivo interesse dei figli.
Non più dunque soggezione del figlio ad un potere-dovere dei genitori, ma assunzione di un obbligo da parte di questi che dovranno esercitare la responsabilità genitoriale di comune accordo tenendo conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del figlio, nato o meno nel matrimonio.
Quando si tratta di figlio nato da coppia non sposata riconosciuto da ambedue i genitori, l’esercizio della responsabilità spetta ad entrambi indipendentemente dal fatto che i genitori convivano o meno.
In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascun genitore può ricorrere al giudice che suggerirà le determinazioni più utili previo ascolto del figlio minore che ha compiuto i 12 anni o che è comunque capace di discernere.
Rispetto alla precedente nozione di potestà il concetto di responsabilità genitoriale ha confini più ampi e non cessa con i 18 anni: i genitori sono vincolati al mantenimento dei figli fino al raggiungimento dell’indipendenza economica, oggigiorno conseguibile ben oltre la maggior età.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 1 dicembre 2014