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Scoprire dopo le nozze che il coniuge non può avere figli comporta la nullità del matrimonio? Per rispondere al quesito sarà utile prendere in esame una pronuncia del tribunale ecclesiastico che può offrire lumi.
Nella fattispecie Anna, giovane donna proveniente da ricca famiglia di industriali, riferisce di aver contratto matrimonio con Francesco, ragazzo di modeste origini sociali, occupato dopo le nozze con qualifica dirigenziale presso l’azienda appartenente alla famiglia di costei.
Riferisce altresì di essersi unita in matrimonio con Francesco per costituire un nucleo familiare con numerosa figliolanza. Infatti, dall’istruttoria emergeva che, dopo qualche mese di frequentazione, su insistenza di Francesco, Anna decideva di convolare a nozze. Era tanto forte e radicato nella giovane donna il desiderio di avere figli che, avendone spesso parlato con amici e parenti, la circostanza era ampiamente nota e diffusa anche all’esterno della coppia. Infatti, diversi anni prima di conoscere Francesco la donna aveva interrotto un precedente fidanzamento con un ragazzo al quale era, peraltro, molto legata, poiché costui manifestava apertamente di non volersi assumere la responsabilità della paternità.
Reduce da tale negativa esperienza, Anna, allorché incontrò Francesco, e ne sortì una relazione sentimentale, si premurò di appurare la volontà dell’uomo circa il desiderio di prole. Francesco che a causa di una malformazione alla nascita (testicoli ritenuti, evolutosi in atrofia) era sterile e, per di più, perfettamente consapevole della propria incapacità di procreare – all’età di 15 anni, infatti, il giovane aveva subito un intervento chirurgico con il quale si era provveduto a rimuovere il disagio psicologico dovuto all’assenza dell’organo grazie a protesi in silicone – volendo fortemente unirsi in matrimonio con Anna, per evidenti motivi di interesse e di carriera, nascondeva tale circostanza alla fidanzata, garantendo il suo vivo e imminente desiderio di divenire padre. Francesco mentiva essendo consapevole del fatto che se avesse reso edotta Anna della propria condizione, non avrebbe potuto unirsi in matrimonio con lei. Restando Anna all’oscuro del problema di Francesco (sterilità ovvero impotentia generandi), i giovani si sposarono nella cappella della famiglia di Anna con cerimonia solenne.
Nel periodo immediatamente successivo alle nozze, Anna manifestò da subito il desiderio di generare un figlio, ma, nonostante rapporti coniugali prolungati non protetti e il mancato uso di mezzi contraccettivi, non si diede corso alla gravidanza. Per tale ragione Anna decise di sottoporsi, unitamente a Francesco, ad accertamenti clinici: fu così che la donna scoprì, con non poca amarezza, che il coniuge a causa della patologia dianzi descritta era sterile ancora prima delle nozze.
Contestualmente apprese che Francesco era perfettamente consapevole della propria sterilità: sentitasi ingannata, nel giro di pochi giorni lasciò il domicilio coniugale e tornò a vivere nella casa dei genitori. Trascorso breve tempo, durante il quale Francesco tentò vanamente di riconciliarsi, la donna attivò la procedura di separazione personale. Contestualmente, desiderosa di sanare la propria posizione davanti alla Chiesa, Anna presentò supplice libello al fine di ottenere dal Tribunale Ecclesiastico la pronuncia di nullità del matrimonio celebrato un anno prima, sul presupposto di dolo perpetrato dal coniuge convenuto, vale a dire per averle l’uomo nascosto la propria condizione di incapacità a procreare. Va sottolineato che non è l’incapacità di generare la causa di nullità del vincolo: infatti, la mancanza di fecondità non incide sulla validità del matrimonio; può esserlo, invece, l’aver dolosamente nascosto tale qualità alla controparte.
La “impotentia generandi”
Non è, dunque, di per sé stessa motivo di nullità a meno che, come nel caso in esame, non sia stata dolosamente celata alla controparte: quindi, il profilo di nullità, nella fattispecie, si rileva sotto l’aspetto del dolo. In particolare va osservato che il Tribunale pronuncia nullità del matrimonio per errore doloso, allorché uno dei nubendi sia stato deliberatamente ingannato circa una qualità personale del coniuge che, per sua natura, sia tale da turbare gravemente il consorzio di vita e, ciò, allo scopo di ottenere il consenso matrimoniale dalla vittima dell’inganno.
Al fine di integrare la prova dovrà essere accertata la presenza di determinate condizioni: 1) è necessario che la parte che si ritiene ingannata versi in errore dal punto di vista soggettivo, vale a dire che ritenga erroneamente avverata una qualità desiderata ovvero assente una qualità non accettata (nel nostro caso Anna riteneva che Francesco fosse capace di generare) e contestualmente è necessaria l’oggettività dell’inganno;
2) l’errore doloso deve vertere su di una qualità personale del coniuge e non su di una circostanza accessoria; 3) è necessario che la qualità sia per sua natura tanto rilevante da poter turbare la comunione di vita coniugale (la valutazione sarà di carattere generale e oggettivo); 4) è necessario dimostrare che l’errore sia stato indotto (con comportamento omissivo o commissivo) dal coniuge o da un terzo; 5) è necessario dimostrare, oltre all’inganno, anche la volontà di ingannare; 6) è importante considerare il comportamento della vittima dell’inganno nel momento della scoperta dell’assenza della qualità desiderata. Quanto più è repentina la reazione, tanto più l’inganno è verosimile (nel nostro caso alla scoperta della sterilità seguì immediatamente l’abbandono da parte di Anna del domicilio coniugale); 7) infine, occorre accertare che lo scopo dell’inganno sia finalizzato al matrimonio: quanto più forte è nell’ingannatore il desiderio di matrimonio, tanto più probabile sarà la finalizzazione dell’inganno in tal senso.
Istruttoria lineare
E non fu difficile fornire la prova della decezione posta in essere da Francesco, nonostante l’atteggiamento processuale dell’uomo che si oppose strenuamente alla domanda attorea. Pertanto il Tribunale adito nella fattispecie sentenziò nullità del matrimonio per dolo perpetrato dall’uomo, avendo il convenuto nascosto alla nubenda, con l’inganno, la propria condizione di soggetto incapace alla procreazione.
Articolo tratto da Vita Pastorale Marzo 2009