Questo bimbo a chi lo do? Cerchiamo un lieto fine

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“Governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno” diceva Michel De Montaigne.
A volte, per i più svariati motivi, può capitare che un minore si trovi temporaneamente privo di un ambiente familiare che lo aiuti a crescere in modo sano e equilibrato, che lo prepari ad affrontare il mondo aiutandolo a diventare adulto.

Per questi casi l’ordinamento prevede il rimedio dell’affidamento familiare, diretto a dare accoglienza ai bambini o ragazzi minorenni in situazioni di disagio familiare, inserendoli temporaneamente in una nuova famiglia che garantisca loro il mantenimento, l’istruzione, l’educazione e le relazioni affettive adeguate, nell’attesa dell’auspicato reinserimento del minore nella famiglia d’origine, una volta superate le difficoltà alla base della decisione di affido.
L’affidamento familiare non va confuso con l’adozione, trattandosi di percorsi completamente diversi: l’affido, a differenza dell’adozione, si basa su un provvedimento temporaneo con l’obiettivo di sostenere e recuperare le relazioni familiari originarie. Ai genitori biologici resta la responsabilità genitoriale sul minore e la famiglia affidataria accoglie il bambino non per avere un figlio, ma per offrire un aiuto parallelo in attesa che il nucleo familiare originario superi le sue problematicità.
Generalmente gli affidatari vengono scelti tra coppie con figli proprio per evitare che il minore venga considerato figlio proprio, ma è comunque possibile l’affidamento a una persona singola.
Se non è fattibile trovare accoglienza in una casa privata, il minore può essere inserito in un istituto di assistenza pubblico o privato, preferibilmente vicino alla famiglia d’origine.
Con l’affido non si intende “portare via i figli ai genitori” ma offrire loro il giusto sostegno attivandosi per un lieto fine.

Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 30 marzo 2015


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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