Quando venne abolito il matrimonio riparatore

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“Se uno trova una fanciulla vergine, non fidanzata, l’afferra e si giace con lei, e verranno scoperti, l’uomo che si sarà giaciuto con la fanciulla deve pagare al padre di lei cinquanta sicli d’argento ed ella sia sua moglie, perché egli l’ha disonorata, né la potrà mai rimandar via per tutta la sua vita”.

Il versetto è contenuto nella Bibbia, libro del Deuteronomio è una delle prime attestazioni del costume del “matrimonio riparatore”: questo era concepito come una forma di risarcimento e di tutela per la donna, che avendo perduto l’onore, non sarebbe più potuta essere presa in moglie da nessun altro uomo.
Dai tempi biblici il costume del matrimonio riparatore sopravvisse nella cultura occidentale fino a tempi molto recenti.
Questo istituto comportava per l’uomo che avesse commesso, nei confronti di una donna nubile e illibata, stupro o violenza carnale, la possibilità di offrire alla ragazza il cosiddetto “matrimonio riparatore” facendo così cessare ogni effetto penale e sociale del suo delitto. Se la ragazza rifiutava la riparazione offerta, subiva il disprezzo sociale e presumibilmente non si sarebbe più sposata.
Lo stupratore, affinché potesse fruire del beneficio di legge, doveva offrire il matrimonio alla ragazza addossandosi altresì tutte le spese della cerimonia e senza poter pretendere alcuna dote.
Tale barbara usanza è stata legalmente abolita soltanto nel 1981.
La prima donna italiana a ribellarsi al matrimonio riparatore fu la siciliana Franca Viola nel 1966: ella all’età di 17 anni, rapita e violentata per 8 giorni, rifiutò di sposare il suo carnefice, e lo denunciò.
Franca e la sua famiglia subirono molte intimidazioni, ma la storia ebbe lieto fine: 11 anni di carcere per lo stupratore ed un matrimonio d’amore per Franca.

Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA del 1 settembre 2014.


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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