Cosa si intende per prodigalità e quando questa incide sulla capacità di agire e rende necessario l’intervento dell’amministratore di sostegno o del curatore
La prodigalità consiste nel comportamento abituale caratterizzato dallo spendere denaro in modo sovrabbondante alle proprie ordinarie esigenze, nell’effettuare regalie o donazioni in misura eccessiva rispetto alle proprie condizioni socio economiche ed in sintesi nell’attribuire uno scarso valore al denaro.
Compito dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato divorzista, nel corso della consulenza è quello di andare a rappresentare tutti i casi nei quali la giurisprudenza ha individuato tale figura.
La Cassazione in un recente provvedimento ha ribadito come la misura di protezione possa essere pronunciata anche in assenza di una patologia o anomalia psichica o psichiatrica quindi anche quando le spese esorbitanti e dissennate siano frutto di decisioni lucide, di libere espressioni di scelte di vita purché ricollegabili a motivi futili.
Per essere destinatario della misura è sufficiente la constatazione e la prova di una determinata condotta dissipatrice, non anche di un’alterazione delle facoltà mentali attestata da medici; come potrà rappresentare l’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista le condotte devono essere tali da porre l’interessato a rischio di indigenza.
Una moglie che non riceve l’assegno di mantenimento mensile di cui ha diritto potrebbe ottenere una misura di protezione per impedire al marito di sperperare il patrimonio?
Il caso trae origine dal ricorso di una moglie separata che, non ricevendo l’assegno di mantenimento mensile che il Tribunale aveva disposto in suo favore, richiedeva al Tribunale un decreto di nomina di Amministrazione di Sostegno nei confronti dell’ex marito.
Riteneva infatti la donna, che il marito- anche se non affetto da patologie psichiche- avesse una condotta abituale caratterizzata da una propensione a spendere in modo eccessivo e decisamente sproporzionato rispetto alla condizione economica, per quanto agiata.
Il Tribunale riteneva corretta la nomina di un Amministrazione di Sostegno; la Corte d’Appello chiamata al riesame invece, negava l’esistenza dei presupposti, ma nuovamente la sentenza che nominava un Amministratore di Sostegno al marito veniva confermata in Cassazione.
Come potrà meglio spiegare l’avvocato matrimonialista o l’avvocato divorzista le sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione non costituiscono un precedente vincolante nel nostro ordinamento ma in ogni caso tracciano un indirizzo al quale dovrebbero ispirarsi i giudici dei Tribunali di merito: questo è il motivo per cui le pronunce della Corte di Cassazione sono decisamente autorevoli.
La Suprema Corte ha di fatto affrancato la nozione di prodigalità dalla psicopatologia- quale è considerata ad esempio la ludopatia- e dal vizio, anche lieve, di mente; la ha identificata piuttosto in qualsiasi condotta che sia idonea a porre un soggetto in situazione anche potenziale di indigenza; questo può accadere anche quando detta condotta sia per l’interessato espressione di una scelta di vita libera e consapevole; l’unico requisito indefettibile è che la spendita di denaro sia dovuta a futili motivi.
Viene in tal modo affermato il principio per cui l’esigenza di conservazione del patrimonio consente di adottare misure restrittive della capacità di agire anche in assenza di patologie di natura psichica; questo sia a garanzia dell’adempimento di doveri di solidarietà familiare e -nel caso di famiglia disgregata, per adempiere al pagamento degli assegni di mantenimento o alimentari- che per tutelare l’autosufficienza economica dell’interessato in modo da evitare di incorrere in indigenza e dover essere in futuro sostenuto dalla collettività con strumenti emergenziali.
La definizione di condizione di prodigalità è stata molto controversa nell’ambito dottrinario che ha visto i giuristi divisi tra due contrapposti orientamenti: sono emerse due diverse interpretazioni all’articolo di legge secondo il quale possono essere inabilitati coloro che per prodigalità espongono se stessi o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici.
Una datata e certamente più tradizionale corrente giurisprudenziale vede una correlazione tra la prodigalità e l’alterazione delle facoltà intellettive e volitive; secondo questa tesi si esclude l’inabilitazione del soggetto quando vi sia semplicemente una sconsiderata amministrazione del patrimonio oppure una colpevole incapacità di compiere speculazioni. Chiunque è in grado di comprendere le conseguenze dei suoi gesti, per quanto incapace a gestire in modo equilibrato non dovrebbe essere soggetto a tutela.
Il fatto che vi sia un pregiudizio di natura economica non è ritenuto insufficiente per limitare la capacità di agire la quale dovrebbe trovare il suo necessario fondamento in una situazione di infermità mentale causalmente legata all’abituale tendenza allo sperpero sproporzionato alle proprie risorse.
Questa interpretazione, più tradizionale, da un punto di vista ideologico è avallato dalle correnti di impostazione liberale che sono legate alla concezione di un’autonomia privata sulla quale non deve intervenire il sindacato da parte dell’ordinamento sul merito degli scopi che si intendono perseguire.
L’esigenza di rispettare le manifestazioni di autonomia anche se non sono adeguate alle disponibilità economiche impedirebbe di sottoporre alla misura protettiva coloro che disperdano consapevolmente il proprio patrimonio; non sarebbe consentito alcun controllo giudiziale sull’apprezzabilità etica delle motivazioni delle spese.
LA CASSAZIONE ACCOGLIE UN’ACCEZIONE DI PRODIGALITA’ SVINCOLATA DALLA COMPONENTE PATOLOGICA
Come potrà illustrare l’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista, la Cassazione con un cambio di rotta, ha posto in dubbio la necessità di un’insufficienza psichica per poter procedere alla pronuncia di una misura protettiva.
La Suprema Corte accoglie una diversa nozione di prodigalità svincolata da ogni componente patologica o psicopatologica: innanzitutto chiarisce che la misura maggiormente idonea, proprio per la caratteristica della duttilità di adeguarsi all’interesse del beneficiario, non sarebbe tanto l’inabilitazione ma proprio l’amministrazione di sostegno.
E sulla rilevanza dei requisiti soggettivi: la prodigalità intesa come abituale dissipazione patrimoniale che si connota non soltanto per un difetto di proporzionalità rispetto alle proprie condizioni socio economiche e al valore oggettivamente attribuibile al denaro ma soprattutto per la futilità delle motivazioni delle spese, ispirate a frivolezza, vanità ed ostentazione del lusso.
PRODIGALITA’ MOTIVATA ED IMMOTIVATA
In questa prospettiva, un ormai consolidata giurisprudenza ammette l’applicazione dell’Amministrazione di Sostegno anche quando la prodigalità presenti atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita ma sia presente un disvalore etico nella condotta in grado di compromettere la capacità patrimoniale del disponente.
Il rischio di questa interpretazione è che la limitazione della capacità di agire, venga ancorata a una verifica di conformità dei comportamenti rispetto ai valori di riferimento; si veda al proposito l’utilizzo dei termini arcaici di “prodigalità immotivata” o “prodigalità motivata” per discriminare le ipotesi che sono suscettibili o meno di una misura protettiva.
Certamente questa interpretazione lascia un’ampia zona grigia nella quale si collocano condotte che concretizzano uno stile di vita edonistico di incerta apprezzabilità da parte della coscienza sociale.
Prodigalità di per sé stessa come limitazione della capacità di agire
L’impostazione che considera la prodigalità un’autonoma causa di limitazione della capacità di agire, indipendentemente dal suo carattere psicologico è stata criticata la luce dei principi fondamentali del nostro ordinamento anche perché come potranno meglio illustrare gli avvocati matrimonialisti e gli avvocati divorzisti questo potrebbe comportare dei rischi.
Infatti in conformità agli obblighi internazionali discendenti dalla Convenzione delle Nazioni Unite – secondo la quale, alle persone con disabilità, occorre fornire il sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica – l’adozione di forme di sostegno di carattere assistenziale è permessa soltanto nell’ipotesi di patologie di natura psichica idonea a compromettere le capacità cognitive e volitive.
Quindi in base a questo orientamento la prodigalità può permettere di rendere il soggetto incapace soltanto se costituisca una condizione clinica incidente sulla attitudine ad autodeterminarsi che venga constatata in giudizio all’esito di accertamenti natura medica.
Non a caso infatti si può ricorrere all’inabilitazione o all’amministrazione di sostegno nelle ipotesi socialmente diffuse di prodigalità nelle quali lo sperpero del proprio patrimonio è cagionato da ludopatia, che costituisce un avere propria patologia così come dimostra il suoi inserimento nel DPCM.
Alle persone affette da tale dipendenza dal gioco d’azzardo viene garantita l’assistenza sociosanitaria inclusa quella residenziale e semiresidenziale.
In difetto di un impedimento psichico la realizzazione di interessi della collettività, soprattutto se diretti alla conservazione del patrimonio, non può giustificare forme di limitazione capacità di agire.
Ma secondo la Cassazione, secondo il più recente orientamento, non è così.
Secondo la ricostruzione e la tesi della Suprema Corte è possibile applicare la misura dell’Amministrazione di Sostegno con la funzione di salvaguardare il soggetto interessato dal rischio di indigenza, in conformità all’interesse sia della sua famiglia, che dell’interesse pubblico, oltre che dell’interesse personale.
La dissipazione del patrimonio, infatti, impedirebbe al prodigo sia l’adempimento dei suoi doveri di solidarietà o di mantenimento – nel caso in cui ci sia un coniuge avente diritto al mantenimento – o ai figli, ma verrebbe meno anche ai doveri nei confronti dell’intera collettività che dovrebbe farsi carico di chi ha dissennatamente disperso le proprie sostanze che sarebbero state idonee ad assicurare un’ esistenza dignitosa.
LA PRODIGALITA’ NON DEVE PER FORZA AVERE CARATTERE PATOLOGICO
Quindi in conclusione, non è necessario ancorare al carattere patologico il comportamento del prodigo ma l’adozione di strumenti che come l’amministrazione di sostegno escludono o limitano la capacità del soggetto a garanzia della conservazione del patrimonio del gruppo familiare e della collettività possono comunque essere adottati.
Come possono riferire l’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista, la prova della prodigalità può desumersi da presunzioni gravi precise e concordanti ricavate dal complesso degli indizi da valutarsi non singolarmente ma nel loro insieme, l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi -quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria – può trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.
Nel caso in esame infatti è stato importante evidenziare come l’interessato non abbia saputo o voluto dare conto dell’utilizzo della metà delle somme incassate – parliamo di un importo superiore al milione di euro ricavato dalla vendita di un terreno – dunque vi è il fondato dubbio che abbia impiegato somme per futili motivi.
Decisive sono state in questo caso anche le testimonianze dei parenti che hanno evidenziato i rischi di compromissione dell’intero patrimonio e l’interruzione dei rapporti non appena hanno evidenziato la contrarietà a tale tipo di condotta.
Perché se è pur vero che ciascuno deve essere libero di disporre del proprio patrimonio, anche in misura ampia, assottigliando ciò di cui legittimamente dispone, non può però ridursi nella condizione in cui non sia più in grado di assicurare i doveri di solidarietà posti a suo carico, come ad esempio verso i figli o il coniuge, ma neppure quelli a favore della propria persona poiché potrebbe trovarsi costretto a far ricorso agli strumenti di aiuto pubblico a dispetto delle proprie sostanze che gli avrebbero consentito una vita dignitosa.
In sostanza la collettività non può correre in soccorso di fronte all’eccesso di prodigalità di una persona che, con le sue sostanze, avrebbe avuto di che vivere dignitosamente e che ha volontariamente dissipato il proprio patrimonio in modo dissenato.