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Nella società moderna spesso si osservano frizioni e incoerenze che, in assenza di una regolamentazione di legge, vengono a crearsi tra la realtà sociale, concretamente vissuta dalle famiglie create ricorrendo a procreazione medicalmente assistita (PMA), e la loro totale o parziale (in)esistenza sul piano giuridico.

Oltre ad accrescere le possibilità di costituire una propria famiglia, la PMA – e soprattutto il ricorso alle tecniche che presuppongono l’uso di materiale genetico esterno alla coppia (PMA eterologa) o addirittura il contributo gestazionale (maternità surrogata) di una persona terza, volgarmente detto “utero in affitto” – ha comportato la frammentazione delle nozioni di maternità e paternità, producendo quindi potenziale confusione sul riconoscimento dello status filiationis del nuovo nato.

Anche in questo caso sarà compito dell’avvocato matrimonialista o dell’avocato  divorzista, figure che operano nel settore della famiglia, illustrare quali, allo stato, siano le procedure ammesse nel nostro Paese e quali invece non lo siano.

Fino ad un decennio fa, il diritto di famiglia ha avuto come oggetto di indagine  il modello della famiglia nucleare, ovvero una famiglia composta da una coppia eterosessuale coniugata e dai figli biologici o adottivi.

Questo tipo di famiglia, oltre a rappresentare la realtà più diffusa, è stata per lungo tempo considerata il luogo maggiormente idoneo per garantire la tutela dell’integrità psico-fisica dei figli e per assicurare loro un adeguato svolgimento della funzione educativa.

Il modello tradizionale di famiglia ha goduto di un trattamento privilegiato sia socialmente sia giuridicamente, in quanto ha rappresentato il fulcro delle previsioni legislative nella materia del diritto di famiglia sino alla metà degli anni Settanta.

Fino ad allora – dobbiamo ricordare che la prima grande riforma del diritto di famiglia è del 1975 – soltanto la famiglia fondata sul matrimonio era l’unico modello accettato e riconosciuto, all’interno del quale anche la filiazione trovava pieno riconoscimento e protezione. Basta leggere la Carta costituzionale all’art. 29, dove la famiglia viene ancora definita come «società naturale fondata sul matrimonio» facendo così espresso riferimento alla cosiddetta «famiglia legittima» ed escludendo dall’ordinamento costituzionale vigente quelle unioni che, pur non essendo fondate sul vincolo coniugale, sono caratterizzate da una comunione di vita stabile e duratura.

La famiglia contemporanea, quindi, è anche oggi luogo che sfugge alle definizioni perché in continua trasformazione: in passato, non esisteva il problema della procreazione medicalmente assistita né quello delle famiglie omogenitoriali.

Oggi, al contrario, parlare di «famiglia» significa necessariamente affrontare questi temi. Siamo di fronte a nuove realtà che necessitano di disciplina legale: un numero crescente di coppie omosessuali vogliono darsi la chance di diventare genitori e, qualora ciò non sia permesso dalla legislazione interna al Paese, si recano all’estero, dove è possibile adottare senza essere coniugati e, nel caso di coppie maschili, anche avere figli mediante maternità surrogata. Quindi, benché l’ordinamento possa continuare a sostenere che un minore non possa crescere in una famiglia omogenitoriale, la realtà è diversa: molti bambini vivono di fatto con coppie formate da persone dello stesso sesso o da genitori omosessuali. La famiglia diventa quindi un luogo di sperimentazione per i tribunali e i parlamenti, inevitabilmente coinvolti nella definizione delle forme ammesse o non ammesse di aggregazione.

LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA ED IL DIRITTO DI FAMIGLIA TRADIZIONALE

Nell’attualità, gli operatori del diritto e con questi gli avvocati matrimonialisti e gli avvocati divorzisti sono, con sempre maggiore frequenza, chiamati a interrogarsi sugli effetti giuridici che scaturiscono dall’impiego di tecniche di PMA (PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA) e, più in generale, dalla costituzione di «nuove famiglie», rivedendo le categorie tradizionali, non sempre applicabili alle nuove situazioni.

Tra questi vi era il pre-assunto per cui il concepimento e, pertanto, la riproduzione, potesse avvenire soltanto per mezzo dell’unione sessuale. Per effetto dello sviluppo della scienza medica, si assiste invece ad un superamento del vecchio paradigma sul quale si è da sempre fondato il fatto naturale della procreazione: il rapporto sessuale non è più sempre il solo presupposto necessario per dare la vita ad un nuovo essere umano. Il verificarsi dell’evento nascita appare sempre più indipendente dal semplice rapporto sessuale e sempre più la conseguenza di interventi sanitari, espressione della libertà di autodeterminazione dell’individuo.

Darsi la chance di diventare genitori, anche superando i vecchi schemi naturali di ordine biologico, temporale e sociale, inoltre, fa venir meno un altro presupposto: quello secondo il quale, per creare una famiglia, sia necessaria la presenza di un uomo e di una donna in età fertile.

Grazie al progresso scientifico si è determinato il fenomeno dell’autosufficienza procreativa della donna: ella infatti potrà  realizzare il suo progetto genitoriale rivolgendosi a una banca del seme.

Parimenti l’uomo potrà diventare padre ricorrendo alla pratica della maternità surrogata.

Da un punto di vista temporale, inoltre, le tecniche riproduttive offerte dalla scienza consentono la procreazione della donna oltre l’età fertile così come la procreazione post-mortem, che si realizza mediante l’utilizzo del materiale genetico crioconservato del partner defunto da parte del partner superstite.

Un altro presupposto che è mutato con lo sviluppo scientifico è quello dell’unitaria titolarità del fattore biologico e volontaristico: fino a poco tempo fa, il diritto attribuiva la responsabilità sociale della procreazione in capo al soggetto che, con il suo materiale genetico, contribuiva al concepimento e quindi alla nascita del bambino.

La scienza ha notevolmente accentuato il ruolo dell’elemento volontaristico in ambito procreativo, facendo sorgere l’esigenza di rivedere le definizioni giuridiche di paternità e maternità. Infine, il progresso scientifico ha reso possibile la filiazione all’interno di una coppia a prescindere dal sesso biologico dei suoi componenti. Così, la graduale apertura delle tecniche di PMA – così come dell’adozione – alle coppie omosessuali hanno travolto un altro fondamento classico del diritto di famiglia ovvero quello secondo il quale ogni bambino,  per uno sviluppo armonico, debba avere come riferimento due figure genitoriali  nello specifico, un papà e una mamma.

IL TRAMONTO DELLA FAMIGLIA TRADIZIONALE E LA NASCITA DI NUOVI MODELLI FAMIGLIARI

Come evidenziano gli avvocati matrimonialisti e gli avvocati divorzisti, si assiste pertanto non alla “fine della famiglia tradizionale”, ma alla sua trasformazione in una nuova prospettiva ove appare più corretto parlare non di famiglia, ma di modelli famigliari.

I processi di cambiamento originatisi dalle novità a cui si è fatto riferimento sopra, non  sono ancora terminati. Il modello famigliare attuale è quindi oggetto di un processo di ridefinizione. Le famiglie contemporanee sono in una fase di sospensione temporale.

La famiglia di oggi non è più la famiglia patriarcale o mononucleare, tipica del Novecento, ma allo stesso tempo non si è ancora arrivati del tutto ad identificare un nuovo modello definito. Il diritto di famiglia e la definizione dei rapporti di filiazione devono dunque fare i conti con l’eterogeneità di una realtà che si trasforma velocemente, che preme e prevale sul dettato normativo, e ciò sia nel caso in cui il legislatore né prenda atto sia che lo rifiuti.  


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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