“Casa dolce casa”, finché la coppia non scoppia e l’assegnazione dell’abitazione coniugale diventa una questione spinosa.
Sul punto il legislatore ha voluto prevenire e sedare interminabili dispute, sancendo una volta per tutte con l’art. 337 sexies CC che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.
Questa regola dettata in un’ottica di tutela della prole comporta indubbiamente una compressione del diritto di proprietà dell’altro coniuge (normalmente il marito), estromesso dal godimento di casa sua.
La difficoltà di trovare un nuovo alloggio e la necessità di favorire gli incontri con i figli hanno indotto i Tribunali a disporre in alcuni casi la divisione delle case più grandi.
In presenza di ville di grandi dimensioni, magari su più piani e con accessi separati, i Tribunali hanno talvolta stabilito la divisione in natura dell’immobile, attribuendo una parte della casa a ciascun coniuge.
Simili provvedimenti di divisione materiale della casa, se da un lato consentono al genitore non collocatario di vedere più spesso i figli in linea col principio di affido condiviso, dall’altro lato creano dissapori a causa della vicinanza quotidiana tra gli ex consorti. Si pensi ai casi in cui gli ex coniugi decidano di rifarsi una vita allacciando nuovi legami sentimentali: la presenza costante dei rispettivi partner può creare comprensibili imbarazzi in caso di continuità delle abitazioni.
La Cassazione nel 2014 ha perciò stabilito che la suddivisione in natura dell’ex casa coniugale possa praticarsi solo in uno spirito non contenzioso tra i genitori: poiché l’interesse da perseguire è sempre e solo quello dei figli, questo interesse manca laddove si imponga la continuità abitativa in caso di elevata conflittualità tra i coniugi.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 12 settembre 2016