Non di rado capita di imbattersi in situazioni difficili con bimbi che si trovano in una sorta di limbo: la loro famiglia d’origine presenta problematiche e non è in grado di garantire una crescita sana ed equilibrata, ma il figlio non è in uno stato di totale abbandono come quello che dà luogo all’adozione.
Questi bambini spesso vengono collocati in affido familiare, ma – quando le difficoltà del nucleo d’origine sono irrisolvibili ed il rientro nella famiglia è impraticabile – l’affidamento familiare, prorogato varie volte, rischia di diventare a tempo indeterminato.
Per offrire stabilità e certezza a queste zone grigie, senza che questi bimbi si trovino in un limbo perenne, alcuni Tribunali Minorili hanno fatto ricorso alla cd. adozione “mite” di derivazione statunitense.
Questa adozione “aperta” non è contemplata dalla legge n. 184/1983 ma è stata introdotta a livello giurisprudenziale.
La sentenza apripista è stata pronunciata nel 2008 dal Tribunale per i Minorenni di Bari; il Presidente del Tribunale barese è partito dal presupposto che interrompere di colpo i rapporti tra il bambino in stato di “semiabbandono” e le figure significative della cerchia parentale d’origine (ad esempio l’anziana nonna affezionata al nipote ma che, proprio in virtù dell’età avanzata, non è in grado di occuparsene personalmente) sia dannoso e traumatico per il minore che, dopo aver interiorizzato quella figura familiare positiva, non dovrà mai più incontrarla.
La soluzione proposta è stata una forma intermedia tra l’adozione piena e l’affido, che crei uno stabile legame tra adottanti e adottato ma senza recidere in modo netto i suoi rapporti con la famiglia d’origine. Sono state presentate nel 2005 due proposte di legge ma il Parlamento non ha ancora legiferato su questa forma ibrida di accoglienza dei minori.