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Per comprendere il significato dell’incapacità al matrimonio per effetto dell’uso di sostanze stupefacenti, potrà essere utile richiamare in termini semplici un caso giunto all’esame del Tribunale ecclesiastico.
Da fidanzati oggi ci si “conosce” in ogni senso, ma non è detto che si sappia tutto del partner.
Negli ultimi decenni il fenomeno della tossicodipendenza e del consumo di sostanze stupefacenti è stato al centro dell’attenzione e ha costituito argomento di profonda riflessione per il diritto, la psicologia e la scienza medica in genere. Per ciò che concerne il diritto canonico occorre domandarsi, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza rotale e della dottrina in materia, se l’uso continuativo oppure occasionale di sostanze stupefacenti possa configurarsi come patologia incidente sulla capacità di intendere e di volere e quindi sul consenso coniugale.
Il matrimonio è un negozio giuridico che presuppone il consenso delle parti; l’assenso al matrimonio altro non è che l’atto di volontà di un uomo e di una donna che ha per oggetto la donazione di se stessi al coniuge e si attua con l’assunzione dei diritti e dei doveri coniugali. È indispensabile, pertanto, che coloro che esprimono il consenso siano in grado sia di comprenderne concretamente il significato e, quindi, di assumerne i conseguenti obblighi. Se, da un lato, il matrimonio è una legittima aspettativa dell’individuo, dall’altro occorre che ci sia consapevolezza dell’importanza dell’impegno richiesto in ragione delle conseguenze esistenziali e morali che esso comporta.
Per tale ragione la legge canonica richiede che colui che si appresta al matrimonio sia dotato di “sufficiente discrezione di giudizio”, vale a dire che possieda la sufficiente libertà interiore che gli consenta di effettuare una scelta consapevole. Pertanto, alla luce di questi principi, riassunti in modo semplificato, occorrerà stabilire se la persona che è dedita al consumo di sostanze stupefacenti sia in grado di esprimere un valido consenso al matrimonio e, in caso positivo, se sia in condizione di assumere i doveri da esso nascenti. A partire dalla fine degli anni 70 la dottrina e la giurisprudenza canonistiche, avvalendosi di più approfondite conoscenze scientifiche, hanno affrontato i temi relativi al turbamento della funzionalità dell’intelletto e della volontà e, in particolare, quello indotto da abuso di sostanze tossiche che comportano la compromissione significativa della libertà di scelta.
Un caso pratico
Al fine di comprendere il significato dell’incapacità al matrimonio per effetto dell’uso di sostanze stupefacenti, potrà essere utile richiamare in termini semplici un caso giunto all’esame del Tribunale ecclesiastico. Tizia, di professione insegnante, all’età di quarant’anni conobbe, per il tramite di comuni amici, Caio, professionista brillante e ambizioso. Nacque tra loro una profonda amicizia che li condusse in breve tempo a intraprendere una relazione sentimentale e, in seguito, soprattutto per volontà della donna, a un’affrettata decisione di contrarre matrimonio. Tizia, ormai prossima al termine dell’età feconda, determinatasi alle nozze perché desiderosa di prole, sottovalutò, purtroppo, le incompatibilità caratteriali e le già manifeste incomprensioni e le inconciliabili abitudini.
La donna, infatti, conduceva da sempre una vita tranquilla e sedentaria mentre l’esistenza del fidanzato era estremamente frenetica e irrequieta. Il matrimonio fu consumato, ma in seguito le unioni intime della coppia divennero sempre meno frequenti. Spesso l’uomo mostrava disinteresse verso Tizia, al punto di non essere più in grado di unirsi a lei per difetto dei presupposti fisiologici al rapporto. Pochi mesi dopo le nozze la donna avvertì come insuperabile la difficoltà di relazione con Caio; in particolare, percepì nel coniuge una personalità iperattiva, con alterazione dei meccanismi che regolano il ritmo veglia-sonno e impotenza sessuale.
Tizia, a causa del carattere schivo e riservato, per diverso tempo non riferì ad alcuno tali difficoltà lasciando tuttavia trasparire un senso di tristezza rivelatore dell’insuccesso matrimoniale. Una notte l’uomo fu colto da una forte crisi di ansia con sintomi di tremore, convulsioni, febbre alta e allucinazioni. Tizia, compresa la gravità della situazione, fece accorrere la guardia medica che decise il ricovero di Caio in ospedale temendo crisi cardiovascolari ed emorragie cerebrali. In seguito a tale episodio la donna, informata dai sanitari del consumo abituale di cocaina da parte del marito, indagando nel suo passato scoprì che l’uomo da diversi anni era dedito al consumo di stupefacente e che, inoltre, per reperire la sostanza aveva contratto numerosi debiti.
Apparente normalità
Rivoltasi all’avvocato, la donna domandò se il suo matrimonio, contratto con persona dedita al consumo abituale di sostanza tossica, fosse stato validamente contratto. La risposta nel caso di specie fu negativa, ancorché le fosse stato precisato che l’invalidità dipendeva dal grado di compromissione delle funzioni volitiva e intellettiva al momento del matrimonio. Vale la pena sottolineare come, non già il consumo occasionale, bensì lo stato di tossicodipendenza o di tossicomania possa condurre all’impossibilità di realizzare l’unione coniugale e una perdurante comunione di vita. È da rilevare, infatti, come l’assunzione di sostanze tossiche assurga a stile di vita per il soggetto tossicodipendente; coinvolge la sfera non solo della sua individualità, ma anche quella della socialità della persona; in taluni casi induce addirittura una tendenza autodistruttiva.
È lecito, dunque, dubitare che l’unione matrimoniale sia compatibile con lo stile di vita indotto dalla tossicodipendenza. A ciò si aggiunga il problema della cura e dell’educazione della prole eventualmente nata dal matrimonio: difficilmente sarà in grado il tossicodipendente di adempiere al «dovere gravissimo e diritto primario» proprio dei genitori di curare secondo le proprie forze e possibilità l’educazione fisica, sociale, culturale, morale e religiosa dei figli. Se, dunque, è pacifica l’invalidità del consenso dato da colui che presenta manifestazioni abnormi, più delicato è, invece, il problema della validità del matrimonio di quei soggetti, come avviene frequentemente nei consumatori di cocaina, le cui incapacità sono mascherate dall’apparenza di normalità.
Si tenga presente che la tossicomania è molte volte sintomo di un’inadeguata personalità, di conflitti interiori, di carenze affettive, sociali ed educative anche se, in casi meno frequenti, il consumo occasionale si riscontra in soggetti dalla personalità sufficientemente equilibrata. Al fine di comprendere, pur da un’analisi sommaria, se i coniugi, o almeno uno di essi, si siano accostati al matrimonio senza possedere le adeguate condizioni psichiche per prestare un valido consenso, l’avvocato dovrà attentamente considerare i seguenti aspetti. Sarà necessario accertare come si sia caratterizzato il periodo prenuziale: se sia stato litigioso o pacifico, se abbia subito interruzioni o se vi siano state difficoltà di coppia. Sarà necessario approfondire se fin dal periodo iniziale il presunto incapace abbia manifestato difficoltà di relazione, anomalie di comportamento o di personalità.
Altri aspetti da considerare
Ricostruire la biografia e il corso di studi del presunto incapace; in particolare accertare se abbia presentato difficoltà gravi, ad esempio in ambito scolastico o nelle relazioni con i parenti, se sia stato esonerato dal servizio militare o se abbia avuto problemi con la giustizia. Ancora, se sia stato ricoverato per cure in istituti appositi o se abbia sofferto di forme depressive. Occorrerà anche indagare la personalità del presunto incapace: in particolare si rileva come al consumo abituale di cocaina si associ spesso una personalità border-line e narcisista.
Al pari è importante stabilire la ragione per cui il soggetto si è determinato al matrimonio: occorrerà, dunque, comprendere se la scelta, a causa delle sue condizioni, sia stata effettivamente libera. Ovviamente si renderà opportuno accertare se il soggetto sia stato consumatore, e con quale frequenza, di sostanze stupefacenti, che influiscono in modo importante sullo stato psichico della persona. Proseguendo nell’analisi, si osserverà come il soggetto si sia comportato dopo la celebrazione delle nozze ovvero in che modo abbia adempiuto ai doveri matrimoniali; o ancora se dopo le nozze vi siano state cure o ricoveri a motivo della droga o della depressione che spesso ne accompagna l’assunzione. E in ultimo, al fine di poter valutare la possibilità di provare in giudizio l’incapacità, l’avvocato dovrà altresì indagare circa la disponibilità del presunto incapace, nel caso dell’instaurazione della causa canonica, di sottoporsi a perizia e di liberare dal segreto professionale i medici che l’hanno avuto in cura.
Infine, è importante rilevare come l’incapacità del tossicodipendente al pari delle altre incapacità non si possa mai presumere: invero la mancanza di facoltà intellettiva e volitiva sufficiente a contrarre valido matrimonio dovrà in ogni caso essere provata. Peraltro il legislatore canonico in casi simili non ha inteso sanzionare il soggetto incapace, piuttosto ha ritenuto di preservarlo dagli oneri conseguenti al matrimonio in ragione della gravosità dell’impegno e delle sue conseguenze.
Articolo tratto da Vita pastorale Giugno 2009