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L’emergenza sanitaria ha costituito un momento di rottura ad un ordine fatto di routine e di ritmi regolari, ha reso eccezionale un insieme di attività banali e quotidiane come lo sport o i momenti di svago con gli amici.
Dopo l’iniziale momento di incertezza e di confusione, dallo scetticismo siamo passati alla responsabilizzazione collettiva che è stata accompagnata dai decreti restrittivi della nostra libertà di movimento sintetizzati dall’espressione “io resto a casa”.
Le nostre vite improvvisamente sono state racchiuse all’interno del perimetro della casa che, col passare del tempo, da luogo sicuro, accogliente, protettivo è divenuto luogo della reclusione e della privazione delle libertà fondamentali.
Prima della pandemia le case erano luoghi di transito da un’attività extradomestica all’altra, poi sono diventate dei microcosmi densamente abitati in cui le vite pre-pandemiche hanno trovato il punto comune.
L’essere famiglia ha richiesto da parte di tutti i suoi membri un impegno maggiore nella manutenzione e nel rammendo dei legami familiari.
Non tutti ci sono riusciti: un’indagine di Altro Consumo ha rilevato come nel 63% delle famiglie ci sono stati contrasti dovuti alla condivisione degli spazi, all’uso comune dei dispositivi tecnologici presenti in casa, alla divisione delle mansioni domestiche e dell’accudimento dei figli.
In conseguenza di tutto questo isolamento, l’ISTAT ha registrato il 30% in più di richieste di separazioni, dovute anche a violenza domestiche o scoperte di infedeltà virtuali. Lo spartiacque nelle esperienze di quarantena è stato tra le famiglie con figli piccoli e quelle senza figli o con figli adulti: nel primo caso gestire faccende domestiche, figli piccoli e home working è stato più complesso, nel secondo caso si è riscoperto un tempo per sé.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 1 marzo 2021