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Per la Corte di Cassazione, commette reato il marito che con violenza sottrae alla moglie il cellulare per trovare le prove della sua infedeltà.
In un recente caso portato all’attenzione della Corte, questa ha deciso che nell’atto di sottrarre e guardare il cellulare della partner al fine di trovare prove dell’infedeltà, vi siano i presupposti della indebita intrusione nella sfera privata altrui.
Il fatto che si viva insieme e si sia sposati non giustifica l’impossessamento dello smartphone della moglie per controllare se, al suo interno, siano presenti dati in grado di dimostrare la violazione dell’obbligo di fedeltà che scaturisce dal matrimonio.
Ciò a maggior ragione vale nel caso della convivente, poiché nella convivenza di fatto il dovere di fedeltà non è un obbligo nascente dalla legge (e, come tale, dalla legge tutelato), restando la fedeltà solo nella sfera degli obblighi morali delle parti.
Ma oltre a ciò, il caso in esame è aggravato dal fatto che l’impossessamento con violenza del cellulare della moglie, avveniva da parte del marito con violenza tale da provocare alla stessa addirittura lesioni: egli infatti seguiva la moglie sul posto di lavoro e le scagliava contro oggetti idonei a ferire.
Il marito veniva quindi condannato per essersi impossessato del telefono contro la volontà della donna, condotta ritenuta antigiuridica di per sè, e anche per aver conseguito un ingiusto profitto consistente nell’indebita intrusione nella sfera di riservatezza della vittima, con conseguente violazione del diritto di autodeterminazione nella sfera sessuale, che non ammette intrusione da parte di terzi, nemmeno del coniuge. Il fatto di essere sposati, insomma, non giustifica la pretesa di poter sottrarre e impossessarsi del cellulare del coniuge.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 19 aprile 2021