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In base ad un principio ben radicato nella storia italiana, le regole sull’attribuzione del cognome – segno distintivo comune identificativo della famiglia d’appartenenza – hanno sempre privilegiato il patronimico. I figli venivano individuati in base al nome del pater familias, secondo un retaggio patriarcale dell’antico diritto romano.
Questa consuetudine è ancora attuale?
Per i figli nati fuori del matrimonio le regole sono abbastanza possibiliste: l’art. 262 del Codice stabilisce che il figlio nato da coppia non sposata assume il cognome del genitore che lo riconosce per primo, se però il riconoscimento è stato congiunto il figlio assumerà il cognome paterno. Il figlio nato da donna nubile che porta il cognome di questa, qualora fosse successivamente riconosciuto dal papà, ha la facoltà di assumere il cognome paterno aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello materno.
Per i figli di coppie sposate l’attribuzione automatica del patronimico ha regnato sovrana fino alla condanna all’Italia dei giudici di Strasburgo dello scorso 7 gennaio.
La Corte Europea ha censurato la nostra normativa per violazione del divieto di discriminazione e del principio di rispetto della vita privata, sfera cui viene ricondotto il diritto di scelta sul cognome.
Pronta la Camera ha approvato un disegno di legge prevedendo che i genitori sposati possano attribuire consensualmente il cognome paterno, materno o di entrambi nell’ordine prescelto.
Se vi è disaccordo, il figlio assume il cognome dei genitori in ordine alfabetico ma potrà trasmettere alla prole solo uno a scelta dei suoi due cognomi. I figli degli stessi genitori porteranno tutti lo stesso cognome del primo.
Ora il testo sul doppio cognome deve passare al Senato.