Mobbing familiare: come riconoscerlo e difendersi

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Prendendo in prestito il termine dal contesto lavorativo ove con “mobbing” si intende il comportamento vessatorio posto in essere da colleghi o superiori per indurre il mobbizzato a dare le dimissioni, l’espressione “mobbing familiare” indica l’atteggiamento perpetrato in famiglia di costante delegittimazione del coniuge allo scopo di minarne l’autostima.

In giurisprudenza è stata proprio una sentenza della Corte d’Appello di Torino del 2000 che ha sdoganato il termine mobbing dall’ambito del diritto del lavoro per dargli ingresso nel diritto di famiglia.
E’ un fenomeno complesso e ancora poco conosciuto celato dentro le mura domestiche e difficilmente portato alla luce.
Ci sono due tipi di mobbing familiare: quello coniugale e quello genitoriale.
Con mobbing coniugale si intende una serie di comportamenti – quali reiterati giudizi offensivi, provocazioni continue, pubbliche umiliazioni, pressioni per abbandonare il tetto coniugale – diretti contro il coniuge allo scopo, ad esempio, di costringerlo ad accettare una separazione consensuale o ad andarsene di casa.
Il mobbing genitoriale invece si verifica per lo più tra coppie separate o divorziate quando si tenta di squalificare l’ex coniuge dal ruolo genitoriale, impedendo di esercitare la genitorialità attraverso sabotaggi delle frequentazioni con il figlio, campagne di denigrazione agli occhi del minore, estromissione dai processi decisionali genitoriali, che nei casi più gravi può persino determinare l’insorgenza nel bimbo della Sindrome da Alienazione Genitoriale.
Come difendersi?
Trattandosi di palese violazione dei doveri coniugali, il mobbizzato può anzitutto chiedere una separazione con addebito.
Inoltre,consistendo in una condotta illecita,è configurabile pure il risarcimento del danno non patrimoniale fondato sull’art. 2043 c.c.

Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 2 febbraio 2015


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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