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Mesi fa, sfogliando carte giudiziarie ho letto una storia incredibile, degna dei migliori incubi della giustizia.
Pensate se a 6 anni lo Stato vi avesse rapito, fatto credere che i vostri genitori erano morti e per 11 anni aveste vissuto una vita non vostra.
E’ la storia vera di Angela L., figlia di un piccolo costruttore di origini calabresi che vive a Milano. Siamo dentro un mix di errori giudiziari e macchina degli affidi mangia soldi pubblici. Una storia estrema ma che si muove dentro un filone di casi tipici.
Negli ultimi dieci anni si è calcolato che sono circa 1800 le strutture in tutta Italia che si occupano dei bambini allontanati dalle famiglie di origine, con un numero di minori che oscilla tra i 26.000 e gli oltre 30.000, quando in Paesi più popolosi come Germania e Francia non raggiungono mai i 10.000.
La metà di questi minori finisce in comunità, in strutture difficilmente supervisionate o monitorate da soggetti terzi, l’altra in affido familiare.
La principale causa scatenante è la condizione di indigenza della famiglia d’origine.
Eppure i bambini ospitati costano oro, dai 70 euro al giorno fino a diverse centinaia di euro, rette pagate con soldi pubblici. Un giro di affari che si muove tra l’1 e i 2 miliardi di euro l’anno, un flusso in aumento ma che latita sotto il profilo della trasparenza.
Per anni diverse inchieste giornalistiche hanno posto l’accento sui conflitti di interesse dei giudici onorari che si occupano dei minori, che non sono magistrati professionisti, ma educatori, psicologi, sociologi. Molti di questi giudici onorari sono in conflitto d’interessi perché lavorano nelle stesse case famiglia dove finiscono i bambini affidati.
Ma non bisogna generalizzare: ci sono anche strutture che funzionano e che fanno ottimi interventi.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 21 ottobre 2019