Lavoro svolto all’interno della famiglia

|

labile confine tra obbligazione naturale e vero e proprio rapporto di lavoro subordinato

Un tema che ricorre frequentemente nei casi di convivenza more uxorio è quello di stabilire se  il convivente, che ha  prestato la sua attività lavorativa domestica per anni all’interno della famiglia, possa pretendere un regolare stipendio.

In un rapporto di convivenza, si presume insussistente un rapporto di lavoro domestico, considerato che l’assistenza personale e la gestione della casa vengono solitamente ricondotte al vincolo di solidarietà familiare ed alla condivisione di ogni aspetto della vita.

Questa è la regola generale  ed è ciò che si presume ma è anche possibile che, date determinate condizioni,  si configuri un contratto di lavoro: questo avviene  allorquando vi sia  il vincolo di eterodeterminazione, che sta indicare la situazione nella quale si ricevono le direttive da altri. Comprendere se si rientra nell’ambito delle prestazioni gratuite rese all’interno della  famiglia oppure del rapporto di lavoro, sarà compito dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato divorzista.

Spesso i Tribunali si trovano ad affrontare la questione della configurazione o meno di un rapporto di lavoro subordinato all’interno della convivenza more uxorio o della relazione affettiva o sentimentale tra le parti.

Molte volte il confine e’  labile  sarà quindi necessario parlare con l’avvocato matrimonialista con l’avvocato divorzista  al fine di comprendere in quale ambito ci muoviamo, se in quello della gratuità ovvero dell’assenza di un contratto di lavoro o in presenza dello stesso.

Un caso di frequente: convivenza e  lavoro domestico

In un caso emblematico venuto all’esame di un Tribunale di merito, la ricorrente chiedeva al giudice del lavoro di accertare di aver prestato la propria attività lavorativa come collaboratrice e domestica per un periodo comprendente diversi anni,  tra il 2010 e il 2019 a beneficio del convenuto e presso la sua abitazione.

Chiedeva pertanto che il beneficiario della sua prestazione lavorativa fosse condannato al pagamento delle retribuzioni maturate nel corso degli anni per un totale di 158.000 € e dei relativi contributi previdenziali.

La ricorrente riferiva appunto di essere stata regolarizzata in un primo tempo con un contratto di lavoro a tempo indeterminato ed  inquadrata come collaboratrice domestica,  con la previsione di un orario settimanale di 25 ore e l’obbligo di convivenza con il datore di lavoro presso il quale si era stabilita a vivere;  poi con il passare del tempo l’orario settimanale sarebbe diventato di ore 54 settimanali -dunque decisamente  superiore a quello contrattualmente pattuito-;  la ricorrente lamentava inoltre che nel corso del rapporto di lavoro non soltanto fosse aumentato a dismisura il numero delle ore, più che raddoppiato, ma che non fosse mai stato corrisposto alcuno stipendio, fino al licenziamento avvenuto nel 2019.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, sosteneva che i pagamenti dello stipendio fossero sempre avvenuti in contanti per i primi anni poi dal 2012 – in seguito all’inizio di una della nascita di una relazione sentimentale tra le parti- gli stipendi veri e propri si erano interrotti perché la ricorrente era divenuta sua compagna di vita e convivente more uxorio per cui il contratto di lavoro era rimasto operativo soltanto fittiziamente poiché, con il pagamento dei contributi,  egli intendeva garantire in futuro una copertura previdenziale.

Il giudice al termine dell’istruttoria nel quale era stato chiamato in causa anche l’Inps aveva ritenuto di dover rigettare la domanda proposta pur riconoscendo la complessità dell’accertamento processuale e delle vicende controverse.

Nell’argomentare la sentenza il giudice ha iniziato la sua analisi  da una ricostruzione di tutti quegli elementi che devono necessariamente sussistere quando parliamo di subordinazione e di lavoro subordinato che rappresenta l’esatto posto del lavoro domestico prestato a titolo gratuito nell’ambito di una solidarietà familiare o  para coniugale.

Prima di iniziare delle cause complesse sarà necessario ricevere una consulenza accurata da un avvocato matrimonialista e divorzista  al fine di verificare se i profili rientrino nell’alveo della famiglia o invece in quello del lavoro subordinato.

Il giudice ha richiamato il concetto di “eterodirezione” il che significa che il lavoratore deve essere assoggettato al potere direttivo organizzativo e disciplinare del rapporto di lavoro:  questo significa che il lavoratore o colui che svolge l’attività deve attenersi alle disposizioni ricevute, alle direttive pregnanti ed assidue, agli ordini specifici e la sua attività lavorativa si deve svolgere sotto la costante e cogente direzione del datore di lavoro al punto che il lavoratore è privato di qualsiasi autonomia decisionale: oltre a ciò vi è un vincolo di orario predeterminato  ed  un effettivo inserimento all’interno dell’organizzazione aziendale.

Nonostante il citato orientamento giurisprudenziale da più parti si sono richiamati alcuni criteri sussidiari complementari che possono andare ad individuare il vincolo della subordinazione quando ad esempio l’assoggettamento alle direttive del datore di lavoro non sia così facilmente invincibili ad esempio per la le peculiarità delle mansioni svolte pensiamo al caso di un lavoratore domestico nel quale e le mansioni siano elementari ripetitive e non vi sia la necessità di essere continuamente collocati sotto la direzione e sigla del proprio datore di lavoro.

Indici importanti sono l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato, il pagamento a cadenze periodiche di una retribuzione concordata e prefissata l’utilizzo da parte del datore di lavoro di beni strumenti attrezzature fornite dal datore di lavoro stesso.

Il giudice nella motivazione si concentra sul lavoro gratuito familiare richiamando quella che è una consolidata giurisprudenza della Cassazione.

A differenza del lavoro extra domestico infatti, per  il lavoro svolto all’interno della casa familiare tra persone che convivono, l’orientamento dominante da tempo ripetutamente afferma che vi sia una presunzione di gratuità delle prestazioni considerato il particolare vincolo affettivo tra i conviventi in virtù della comunanza spirituale ed economica che esiste tra loro; tale presunzione  può essere vinta solo attraverso una prova particolarmente rigorosa dell’esistenza di un rapporto di lavoro.

Nella libera negoziabilità delle parti è anche possibile che due conviventi decidano di instaurare tra loro un vero e proprio contratto di lavoro;  ma se non si riesce a fornire una prova rigorosa di questo,  la presunzione sarà  nel senso della gratuità ovvero il lavoro prestato per la famiglia di fatto, o a vantaggio della coppia, non darà diritto ad una retribuzione in senso tecnico.

Quindi l’attività di cura e di assistenza svolta da un convivente a favore dell’altro è un’obbligazione naturale poiché è la  risultante di un vincolo di affettività e di solidarietà che presenta caratteristiche opposte al vincolo proprio del lavoro subordinato.

Questo non significa escludere sempre e comunque l’esistenza di un contratto di lavoro subordinato tra conviventi, ma significa la necessità di dover provare rigorosamente i requisiti propri del contratto di lavoro e la prova sarà molto più difficile rispetto ai casi nei quali tra le due parti del rapporto -lavoratore e datore di lavoro- vi sia una situazione di totale estraneità.

Questo perché in un caso non vi è motivo per svolgere un’attività lavorativa nei confronti di un altro soggetto se non all’interno di un contratto di lavoro, mentre nell’altro caso invece perché la cosiddetta causa del contratto è proprio la affezione e la solidarietà familiare; e tale vincolo affettivo escluderebbe la retribuzione, i contributi e tutti gli accessori propri del contratto di lavoro.

Impresa familiare introdotta con la riforma del Diritto di Famiglia

Come potrà illustrare l’avvocato matrimonialista e l’avvocato divorzista già  la Riforma del Diritto di Famiglia nel lontano 1975  – con l’introduzione dell’Istituto dell’Impresa Familiare, che aveva come obiettivo di attuare il principio di parità dei coniugi valorizzando il lavoro in particolare del lavoro della donna, per evitare situazioni di sfruttamento –  ha  di molto ridotto l’area del lavoro gratuito reso da un familiare convivente a beneficio dell’altro.

Recentemente la Corte Costituzionale, precisamente nel luglio 2024 ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che disciplina l’impresa familiare nella parte in cui non viene inclusa nella nozione familiari anche il convivente di fatto. Quindi un ulteriore passo avanti nella tutela dei diritti è stato fatto.

questo però riguarda i casi di impresa familiare;  per quanto riguarda il lavoro domestico prestato alla famiglia in luogo del lavoro extra domestico, è quantomai arduo configurare un rapporto di lavoro.

Infatti viene escluso rapporto di lavoro quando oltre all’elemento della convivenza, che sicuramente può configurarsi nelle lavoratrici che hanno il contratto che comprende vitto e alloggio,  vi è il presentarsi socialmente come coppia, la condivisione dei pasti, la condivisione delle ferie, delle festività e delle ricorrenze, la partecipazione dell’uno alle feste familiari dell’altro; anche l’effettuare donazioni nei confronti sia del convivente che dei suoi parenti, rappresentano secondo il Tribunale indici della sussistenza di un rapporto more uxorio, quindi affettivo, e non di un rapporto lavorativo.

Questo perché le prestazioni di assistenza personale e di cura della casa possono essere ricondotte nel vincolo di solidarietà familiare e correlativa condivisione di vita. In estrema sintesi potremmo dire che non è vietato alle parti stipulare un vero e proprio contratto di lavoro domestico, che preveda altresì il pagamento di tutti gli oneri accessori del contratto ed il versamento dei contributi previdenziali; tuttavia nel caso in cui questo non risulti in modo chiaro ed evidente e molto probabile che il giudice riconduca le prestazioni rese all’interno di una convivenza more uxorio nell’ambito delle obbligazioni naturali negando così il diritto allo stipendio e a tutto ciò che da questo consegue.


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

Articoli correlati


Potrebbe interessarti anche