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In piena EXPO 2015, dedicata al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, il Tribunale di Bergamo emette una sentenza unica nel suo genere: la risoluzione giudiziale di una divergenza alimentare tra genitori divorziati.
Per la precisione tre bistecche alla settimana, ha stabilito il Giudice.
La mamma una vegana convinta, patita di cibi macrobiotici.
Il papà – uno di quelli per cui “la bistecca fa sangue” che mai accetterebbe di vedere il suo giovane ometto rinunciare alle proteine – si rivolge all’avvocato e porta l’ex moglie in Tribunale.
Il Giudice dà ragione al padre ritenendo che un ragazzino dodicenne, ancora in età pediatrica, necessiti di una dieta equilibrata con tutti i nutrienti essenziali.
Senza entrare nel merito della disputa su quale sia il regime alimentare più corretto per un minore, su cui nutrizionisti e pediatri hanno più competenza di giudici e avvocati, la sentenza in commento solleva interessanti quesiti socio-giuridici.
E’ giusto che una sentenza dello Stato obblighi una madre a cucinare una bistecca a suo figlio?
Cosa succederebbe se la madre si rifiutasse?
Potrebbe incorrere in sanzioni penali per aver disatteso un provvedimento del Giudice. Inoltre, l’ultimo capoverso del 3° comma dell’art. 337 ter c. c. prevede che “Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento”.
La madre, pertanto, rischierebbe una sanzione penale e la perdita dell’affidamento, e il tutto per una bistecca!
Come ci ricorda anche L’EXPO ospitata a Milano, l’alimentazione è un tema fondamentale per la salute umana che tocca aspetti culturali, ideologici e religiosi, ma che trascende il settore giustizia.
Ha senso affidare ai giudici anche il menù dei nostri figli?
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 1 giugno 2015