La Cassazione penale ha condannato un padre che aveva registrato le telefonate tra madre e figli per il reato di cui all’art. 617 Cod. penale che punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni “Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefonica o telegrafica, tra altre persone o comunque a lui non diretta”.
Nel caso di specie i figli erano stati affidati in modo esclusivo al padre ed erano intervenuti anche i servizi sociali: pare proprio che siano stati i servizi sociali ad aver incautamente consigliato al padre di registrare le telefonate per controllare i rapporti madre-figli.
A nulla è valsa la difesa del padre che, per scongiurare la condanna penale, aveva invocato il proprio diritto genitoriale di vigilare sui figli minori a lui affidati in modo esclusivo, nonché la scriminante dell’“esercizio di un diritto” riconosciuta dall’art. 51 c.p.
In questa condotta la Cassazione, confermando le precedenti sentenze di I e II grado, ha ravvisato un illecito penale: il bene protetto dall’art. 617 c.p. é la “riservatezza”, diritto inviolabile sia rispetto all’altro genitore, sia rispetto ai propri figli.
La Corte ha espressamente richiamato l’art. 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo che tutela il minore da “interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia o nella sua corrispondenza”: tali diritti del fanciullo possono essere violati da un genitore solo per impellenti ed effettive necessità di tutela dell’incolumità o della salute del minore, non certo per scopi egoistici e interessati, come quello di controllare l’ex coniuge.
Nella condotta incriminata, infatti, il genitore sembrava più interessato a controllare la moglie che a vigilare sull’incolumità dei figli.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA del 12 febbraio 2018