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Il figlio nato fuori dal matrimonio, quando non è spontaneamente riconosciuto da uno o da entrambi i genitori, può agire in giudizio per ottenere l’accertamento della filiazione.
L’azione prevista è la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, disciplinata dall’art. 269 c.c.
La sentenza che accoglie la domanda, infatti, produce gli stessi effetti del riconoscimento volontario, cioè accerta lo stato di figlio nato fuori dal matrimonio.
A partire dalla riforma del diritto di famiglia del ‘75, la paternità e la maternità possono essere provate in giudizio “con ogni mezzo”: ci si può servire di documenti, testimoni e indizi, anche se la prova più decisiva ai fini della verifica del legame di sangue è senza dubbio il test del DNA, oggetto di consulenza tecnica.
Ferma restando l’incoercibilità del prelievo di materiale biologico ai fini della prova del DNA, è costantemente riconosciuto in giurisprudenza che dal rifiuto ingiustificato di sottoporsi al test, il Giudice possa trarre argomenti di prova a favore della sussistenza del rapporto di filiazione.
Se il figlio è stato riconosciuto da uno solo dei suoi genitori, questo può agire in giudizio nell’interesse del minore per far dichiarare la genitorialità nei confronti dell’altro.
Se invece il figlio non è stato riconosciuto da nessuno, può agire il suo tutore previa autorizzazione del giudice. Se il minore ha già compiuto i 14 anni è richiesto il suo consenso.
E’ sempre da valutare l’interesse del minore all’accertamento, da escludersi se vi sono condotte del genitore gravemente pregiudizievoli per l’equilibrio psicologico del minore.
Una volta maggiorenne, invece, il figlio può chiedere personalmente in giudizio la dichiarazione di filiazione senza limiti di tempo.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 2 marzo 2015