La Cassazione equipara il tradimento gay a quello etero: ciò che conta è solo la condotta infedele

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Chissà come avrebbe reagito l’America puritana se avesse scoperto che la sua first lady Eleanor Roosvelt intratteneva una relazione omosessuale con la giornalista Lorena Hickok.Passano gli anni, cambiano i tempi, ma ancora oggi l’adulterio omosessuale costituisce un tabù, una questione privata che fa gridare al pubblico scandalo o, perlomeno, stuzzica il gossip.

Ma se dal punto di vista socio-culturale esistono ancora omertà ed imbarazzi che distinguono l’infedeltà omosessuale da quella eterosessuale, per la Cassazione non fa alcuna differenza la natura omo o etero dell’adulterio: ciò che conta è l’infedeltà in quanto tale.
Con una sentenza storica dal punto di vista culturale ancor prima che giuridico, la Suprema Corte nel 2009 ha equiparato l’adulterio gay a quello etero ai fini del potenziale addebito di separazione.
Partendo dal presupposto che l’omosessualità non è più considerata una patologia ma l’esplicazione del diritto di “autodeterminarsi”, al pari che nell’eterosessualità, tradire un coniuge con una persona dello stesso sesso – così come tradirlo con persona di sesso diverso – significa sempre infrangere il rapporto di fiducia e violare un dovere coniugale.
La pronuncia di addebito non deriva in automatico dalla natura omosessuale della condotta fedifraga ma dalla precisa dimostrazione che quell’adulterio, di qualunque natura esso sia, ha determinato la crisi irreversibile del matrimonio. Se invece si dimostra che il rapporto era già in crisi prima, e che il tradimento, gay o etero che sia, è conseguenza e non causa della fine del matrimonio, la separazione verrà pronunciata senza addebito.
Il tradimento omo, pertanto, non è più grave o più offensivo, di un qualsiasi altro tradimento.

Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 29 giugno 2015


Scritto da Studio Avvocato Laura Gaetini

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