L’Italia ha legalizzato le unioni civili tra persone same sex nel 2016 ma la legge sulla procreazione assistita del 2004 non concede ai gay l’accesso alla procreazione assistita, né la legge sulle adozioni del 1983 consente loro l’adozione.
Per soddisfare il desiderio genitoriale, le coppie gay italiane sono dunque costrette a ricorrere sempre più spesso al turismo procreativo affrontando viaggi all’estero alla ricerca di un figlio tramite fecondazione eterologa (le coppie formate da due donne) o maternità surrogata (le coppie formate da due uomini).
I divieti della legge italiana in materia di procreazione assistita
Si definisce infatti “maternità surrogata” quel fenomeno per cui una donna si presta a portare a termine una gravidanza e a partorire un figlio per conto altrui: il ricorso ad una madre surrogata rappresenta l’unico rimedio possibile per le coppie omosessuali formate da due uomini che desiderino avere un figlio biologicamente proprio.
Molte sono infatti le critiche sollevate in merito alla surrogazione: da quelle che la configurano come una minaccia contro l’integrità della famiglia, a quelle che considerano lesivo della dignità umana il fatto che una donna – sia pur volontariamente – disponga del suo corpo come fosse un’incubatrice, da quelle che reputano una “unnatural practice” rompere il legame simbiotico inevitabilmente creatosi tra neonato e donna gestante durante i nove mesi di gravidanza, fino a quelle che paventano il rischio che una simile procedura mascheri in realtà una compravendita di bambini.
L’art. 12, 6°comma della legge 40 del 2004 prevede letteralmente che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, é punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
L’art. 5 della medesima legge 40 del 2004 prevede poi che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”, con ciò evidentemente escludendo l’accesso alla procreazione assistita da parte delle coppie costituite da due uomini o da due donne.
In un simile contesto normativo, sono sempre più numerose le coppie omosessuali che decidono di soddisfare il loro desiderio genitoriale facendo ricorso a queste tecniche all’estero, nei Paesi ove la maternità surrogata o la procreazione assistita tra coppie omosessuali sono consentite (ad esempio in Gran Bretagna, Olanda, Albania, Ucraina, Russia e alcuni Paesi degli Stati Uniti).
La reazione del Governo
Il Governo ha recentemente emanato una circolare con cui ha intimato ai Comuni di non procedere alla trascrizione in Italia del provvedimento giudiziario straniero, né dell’originario atto di nascita, che indichi come genitore del bambino il genitore d’intenzione.
Il Governo ha così inteso porre un veto alla registrazione degli atti di nascita e dei provvedimenti stranieri che riconoscerebbero automaticamente in Italia i bambini registrati all’estero come figli di due madri o due padri.
Le soluzioni eventualmente percorribili
La soluzione proposta dalla Suprema Corte per instaurare comunque un legame giuridico tra il bambino e il genitore d’intenzione, é la cd. “stepchild adoption”, ossia l’adozione del figlio del partner, che è una forma di “adozione in casi particolari” prevista dall’art. 44, 1° comma, lett. d) legge 184/1983.
Già l’anno scorso, infatti, le Sezioni Unite della Cassazione avevano proposto di risolvere la questione del riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il figlio nato all’estero da maternità surrogata e il partner del genitore ricorrendo all’adozione in casi particolari che, tuttavia, è un’adozione “non legittimante”.
In questo modo, i figli nati all’estero da maternità surrogata non potranno più automaticamente essere riconosciuti come figli di entrambi i genitori con la semplice procedura amministrativa di trascrizione anagrafica da parte del Sindaco, ma eventualmente solo in seguito a decisione del Giudice che potrà accogliere la domanda di adozione in casi particolari, valutato il singolo caso.
Questa soluzione, tuttavia, è andata incontro a numerose critiche, perché negare riconoscimento di un pieno status filiationis ai figli nati all’estero attraverso ricorso alla maternità surrogata provocherebbe la conseguenza di far pagare a dei bambini lo scotto per una condotta perpetrata dai loro genitori, ossia la violazione del divieto di locazione d’utero quasi come se, biblicamente, le “colpe” dei padri ricadessero sui figli.