La Cassazione conferma l’orientamento, risalente al 2009, che prevede un rimedio a tutela del convivente more uxorio che ha investito economicamente per ristrutturare o arredare la casa del partner e che, cessata la convivenza, rischia di trovarsi con un pugno di mosche.
Con sentenza 21479/2018, infatti, la Suprema Corte ha condannato una donna a restituire all’ex convivente oltre 50.000 €, equivalenti a 100 milioni delle vecchie lire, che le erano state profusi ai tempi della convivenza per la ristrutturazione e l’arredo della casa comune.
Il rimedio esperibile in simili casi è l’azione di arricchimento senza causa, ex art. 2041 c.c.: il ragionamento dei giudici, infatti, è quello che se oggi la donna vendesse la casa ristrutturata e arredata con i risparmi dell’ex partner, ne otterrebbe un vantaggio economico ingiusto.
La dazione di 100 milioni delle vecchie lire, valutata alla luce del contesto socio economico in cui all’epoca viveva la coppia, non può essere inquadrata come una cd. “obbligazione naturale”, ossia un’elargizione resa in esecuzione di doveri morali e sociali ex art. 2034 c.c.
La coppia infatti non viveva in condizioni di benessere e agiatezza: l’uomo che ha devoluto alla convivente 100 milioni delle vecchie lire ha sostenuto un esborso significativo in favore dell’ex compagna, pertanto merita di essere indennizzato.
Il presupposto dell’azione di ingiustificato arricchimento è l’assenza di un altro strumento giuridico più specifico per far salvi i diritti del danneggiato.
Dato che il nostro ordinamento non contempla un’azione appositamente dedicata agli ex conviventi per la tutela delle proprie ragioni di credito, tale strumento può oggi essere individuato nell’azione residuale ex art 2041 c.c.
Articolo pubblicato su ECO DI BIELLA 10 settembre 2018